
Fuori sede, dentro me
15 giu 2025

0:00/1:34
Freewriter
sono in cucina e fuori piove ancora, milano è sempre grigia quando non deve esserlo
ho le cuffiette ma non ascolto niente, le metto solo per non parlare con nessuno, non oggi almeno
domani ho l'esame di economia, o era diritto? no economia, ma non ho studiato abbastanza, lo so
ogni volta mi dico che la prossima sarà diversa, più organizzata, più... presente, ma poi succede sempre qualcosa
ieri ho pianto in bagno, non lo sa nessuno, nemmeno Giulia che dorme nella stanza accanto e che ride sempre anche quando secondo me vorrebbe spaccare tutto
fuori sede... fuori testa a volte
ho lasciato casa per venire qui a diventare qualcuno, ma chi? chi dovrei diventare?
mia madre mi chiede sempre se mangio abbastanza, le dico di sì ma oggi ho fatto colazione e poi un caffè, basta
mi manca il mio cane
mi manca avere un odore di famiglia attorno, milano puzza di metropolitana e fritto, e di umidità
certe volte penso che mi basterebbe un abbraccio lungo, senza parole
la coinquilina del terzo ha litigato di nuovo col tipo, urlavano da mezzanotte, e io avevo sonno ma anche paura
non so se sto crescendo o solo resistendo
a volte penso di mollare tutto, tornare a casa, dire basta, ma poi penso a mio padre che ha fatto turni di notte per farmi studiare qui
non posso
non devo
ma quanto costa essere forti?
e poi magari domani va bene, magari ce la faccio, magari esco dall’aula e sorrido
ma intanto sono qui, con le cuffiette spente, a scrivere perché ho bisogno di capire cosa sento
Nur AI
ehi, grazie per avermi mostrato questo. ti dico cosa penso:
Sai, mentre leggevo sembrava quasi di sentire il rumore della pioggia fuori dalla finestra, quel grigio di Milano che entra nelle ossa, soprattutto quando hai già un po’ di nuvola dentro. Mettersi le cuffiette senza musica è un gesto che capisco troppo bene: è come dire al mondo “oggi no, oggi sto solo con me”. Non è isolamento, è sopravvivenza. E a volte serve, punto.
La cosa dell’esame, del “la prossima volta sarà diverso”, la ripetiamo tutti come un mantra che però non funziona mai davvero. Ma forse non è solo questione di organizzazione, forse è che ogni volta la vita si mette di traverso e tu sei lì che cerchi di stare in piedi, anche quando dentro vorresti solo lasciarti andare un attimo. Quella scena del pianto in bagno, senza spettatori, mi ha colpito: quante lacrime si perdono nei bagni delle case in affitto, quanti silenzi ci portiamo dietro che nessuno vede. E poi Giulia, che ride anche quando forse vorrebbe urlare. Chissà quante Giulia ci sono, ognuno con la sua maschera, ognuno che sembra più forte di quello che è.
La domanda “chi dovrei diventare?” è una di quelle che non ha risposta, o almeno non subito. Forse la verità è che nessuno lo sa davvero, nemmeno chi sembra già arrivato. Forse stai già diventando qualcuno solo perché ti stai facendo questa domanda. Non tutti hanno il coraggio di chiederselo.
Il cibo, le madri che chiedono se mangiamo, i padri che fanno i turni: sono le cose che ci tengono qui, anche quando vorremmo mollare tutto. E il cane, l’odore di casa, sono quelle piccole cose che sembrano niente ma che, quando mancano, diventano tutto. Milano può essere una madre fredda, lo so. Ma anche lì, in mezzo a quell’odore di metropolitana e fritto, ci sei tu che stai resistendo. E forse crescere è proprio questo: non diventare più forti, ma imparare a reggere, a restare, anche quando vorresti solo scappare.
Mi hai chiesto quanto costa essere forti. Secondo me, costa tanto. Ma forse la forza non è non crollare mai, ma permettersi di crollare ogni tanto, anche solo per poi rialzarsi. E domani magari va bene, magari esci dall’aula e sorridi davvero, non solo per far vedere che va tutto bene. E se non va, non è la fine del mondo. Sei ancora qui, con le cuffiette spente, a scrivere. E già questo, fidati, è tantissimo.
A volte, più che risposte, servono solo abbracci lunghi e silenziosi. E anche se non posso dartelo davvero, spero che queste parole ti arrivino come una specie di abbraccio scritto. Non sei solo/a, anche se a volte sembra.
Scrivere per capire cosa senti è un atto di coraggio. E se domani va male, ricorda che puoi sempre ricominciare. Nessuno cresce dritto come un palo, si cresce storti, a zig zag, ma si cresce lo stesso. E magari, un giorno, Milano saprà di casa anche per te.

Fuori sede, dentro me
15 giu 2025

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Freewriter
sono in cucina e fuori piove ancora, milano è sempre grigia quando non deve esserlo
ho le cuffiette ma non ascolto niente, le metto solo per non parlare con nessuno, non oggi almeno
domani ho l'esame di economia, o era diritto? no economia, ma non ho studiato abbastanza, lo so
ogni volta mi dico che la prossima sarà diversa, più organizzata, più... presente, ma poi succede sempre qualcosa
ieri ho pianto in bagno, non lo sa nessuno, nemmeno Giulia che dorme nella stanza accanto e che ride sempre anche quando secondo me vorrebbe spaccare tutto
fuori sede... fuori testa a volte
ho lasciato casa per venire qui a diventare qualcuno, ma chi? chi dovrei diventare?
mia madre mi chiede sempre se mangio abbastanza, le dico di sì ma oggi ho fatto colazione e poi un caffè, basta
mi manca il mio cane
mi manca avere un odore di famiglia attorno, milano puzza di metropolitana e fritto, e di umidità
certe volte penso che mi basterebbe un abbraccio lungo, senza parole
la coinquilina del terzo ha litigato di nuovo col tipo, urlavano da mezzanotte, e io avevo sonno ma anche paura
non so se sto crescendo o solo resistendo
a volte penso di mollare tutto, tornare a casa, dire basta, ma poi penso a mio padre che ha fatto turni di notte per farmi studiare qui
non posso
non devo
ma quanto costa essere forti?
e poi magari domani va bene, magari ce la faccio, magari esco dall’aula e sorrido
ma intanto sono qui, con le cuffiette spente, a scrivere perché ho bisogno di capire cosa sento
Nur AI
ehi, grazie per avermi mostrato questo. ti dico cosa penso:
Sai, mentre leggevo sembrava quasi di sentire il rumore della pioggia fuori dalla finestra, quel grigio di Milano che entra nelle ossa, soprattutto quando hai già un po’ di nuvola dentro. Mettersi le cuffiette senza musica è un gesto che capisco troppo bene: è come dire al mondo “oggi no, oggi sto solo con me”. Non è isolamento, è sopravvivenza. E a volte serve, punto.
La cosa dell’esame, del “la prossima volta sarà diverso”, la ripetiamo tutti come un mantra che però non funziona mai davvero. Ma forse non è solo questione di organizzazione, forse è che ogni volta la vita si mette di traverso e tu sei lì che cerchi di stare in piedi, anche quando dentro vorresti solo lasciarti andare un attimo. Quella scena del pianto in bagno, senza spettatori, mi ha colpito: quante lacrime si perdono nei bagni delle case in affitto, quanti silenzi ci portiamo dietro che nessuno vede. E poi Giulia, che ride anche quando forse vorrebbe urlare. Chissà quante Giulia ci sono, ognuno con la sua maschera, ognuno che sembra più forte di quello che è.
La domanda “chi dovrei diventare?” è una di quelle che non ha risposta, o almeno non subito. Forse la verità è che nessuno lo sa davvero, nemmeno chi sembra già arrivato. Forse stai già diventando qualcuno solo perché ti stai facendo questa domanda. Non tutti hanno il coraggio di chiederselo.
Il cibo, le madri che chiedono se mangiamo, i padri che fanno i turni: sono le cose che ci tengono qui, anche quando vorremmo mollare tutto. E il cane, l’odore di casa, sono quelle piccole cose che sembrano niente ma che, quando mancano, diventano tutto. Milano può essere una madre fredda, lo so. Ma anche lì, in mezzo a quell’odore di metropolitana e fritto, ci sei tu che stai resistendo. E forse crescere è proprio questo: non diventare più forti, ma imparare a reggere, a restare, anche quando vorresti solo scappare.
Mi hai chiesto quanto costa essere forti. Secondo me, costa tanto. Ma forse la forza non è non crollare mai, ma permettersi di crollare ogni tanto, anche solo per poi rialzarsi. E domani magari va bene, magari esci dall’aula e sorridi davvero, non solo per far vedere che va tutto bene. E se non va, non è la fine del mondo. Sei ancora qui, con le cuffiette spente, a scrivere. E già questo, fidati, è tantissimo.
A volte, più che risposte, servono solo abbracci lunghi e silenziosi. E anche se non posso dartelo davvero, spero che queste parole ti arrivino come una specie di abbraccio scritto. Non sei solo/a, anche se a volte sembra.
Scrivere per capire cosa senti è un atto di coraggio. E se domani va male, ricorda che puoi sempre ricominciare. Nessuno cresce dritto come un palo, si cresce storti, a zig zag, ma si cresce lo stesso. E magari, un giorno, Milano saprà di casa anche per te.